In difesa del pluralismo/Gli errori tecnici e politici del Comitato Guzzetta-Segni

Le ragioni del non voto al referendum elettorale

di Raffaello Morelli

L’impegno del Comitato "Batti il Referendum Elettorale" va ben oltre quello che è il suo oggetto tecnico. Opporsi al grave peggioramento di una legge elettorale già pessima in sé, prosegue la battaglia per sostenere nel nostro paese il principio del pluralismo. E’ questo il motivo per cui i principali movimenti aderenti del Comitato sono tutti i gruppi politici dell’area liberale, repubblicana e riformatrice (Federazione dei Liberali, Partito della Libertà, Partito Liberale, Partito Repubblicano, Repubblicani Europei, l’Associazione dei giovani di DyalogUE) e includono nella Presidenza Nazionale, oltre i massimi dirigenti di quell’area, anche esponenti del mondo PD in aperto dissenso con il proprio partito schierato a difesa del Sì.

Quanto all’aspetto tecnico, basta una lettura dei quesiti preparati dal Comitato Promotore del prof. Guzzetta per rilevare la loro pericolosità istituzionale e il grave disegno sottostante neppur troppo dissimulato. Il Referendum, se approvato, lascia immutato lo scippo delle preferenze a danno dell’elettore, ma in compenso innova, tornando al passato della legge mussoliniana, dando uno spropositato e incondizionato premio di maggioranza al partito che arriva primo. Non più alla coalizione come è oggi. E questa abrogazione entrerebbe subito in vigore, senza bisogno di ulteriori ritocchi in Parlamento, sia perché così stabilisce la legge sia perché lo ha già dichiarato il Popolo della Libertà.

I promotori cercano di sostenere che lo stesso premio di maggioranza può esserci con la legge attuale e che pertanto il Popolo della Libertà potrebbe oggi avere il 55% dei seggi anche senza la Lega. Chiunque prenda in esame i dati delle politiche 2008 e ora delle Europee, può constatare che, oggi, se il PDL andasse da solo, la contromossa, per chi volesse opporsi, sarebbe facile. Oggi il premio è alla coalizione e, volendo opporsi, se ne possono fare molte di coalizioni per escludere Berlusconi dal premio di maggioranza; viceversa, se fosse approvato il referendum elettorale, il premio andrebbe al primo partito, e in quel caso non sarebbe possibile, per incompatibilità politica, fare una lista unica degli altri partiti col programma unico di legge. In pratica con il 35,2 dei voti, il Popolo della Libertà avrebbe assicurato il 55% dei seggi.

I Promotori del referendum tentano anche un’altra giustificazione. Asseriscono che in altri paesi, come in Inghilterra, con il 30% - 35% dei voti, si può ottenere la maggioranza dei seggi. Fare un simile esempio è un tentativo di raggiro, perché il sistema inglese (o l’americano) e quello italiano non sono paragonabili, come ben sanno i docenti di diritto costituzionale. Nel senso che in Inghilterra (o in America) il sistema elettorale non è proporzionale, bensì maggioritario di collegio, e dunque non esiste il premio di maggioranza voluto dal Referendum Elettorale e viene mantenuto il legame tra ogni eletto e il suo collegio, che in Italia è stato cancellato.

Una congerie di errori così grossolani corrisponde ad un disegno politico sottostante, che quasi sempre emerge dalle stesse dichiarazioni dei Promotori. Il disegno è quello di insidiare il pluralismo. I Promotori affermano che questo referendum rafforzerebbe la prospettiva bipartitica contro il proporzionale, per cui opporsi al referendum equivale ad essere per il proporzionale. Ora non è affatto vero che chi non è per il bipartitismo automaticamente è per il proporzionale. La vera alternativa non è tra bipartitismo (o bipolarismo strutturato) e proporzionale, bensì tra bipartitismo e pluralismo.

I Promotori si difendono dicendo che resterebbero due partiti e non solo uno e che quindi non arriveremmo al partito unico. Solo che il comportamento passato e le prospettive dichiarate fanno intendere che puntano al bipartitismo tra due partiti essenzialmente di potere e sempre meno di progetto. In questo modo corrodono il pluralismo che invece è un sistema di confronto e di dibattito senza sosta. Si può benissimo adottare, senza violare il pluralismo, un metodo elettorale maggioritario di collegio ma senza mai rinunciare al conflitto democratico per selezionare progressivamente le proposte per la convivenza. Abbando-nando questa via di libera e controversa costruzione del progetto, si sostituiscono le coalizioni per governare con le ammucchiate per primeggiare comunque e si lascia campo libero ai ricatti dei nanetti invece che al conflitto tra le idee anche di quelli che in partenza sembrano avere pochi sostenitori. Da qui la logica del tentato inciucio e del voto utile per costruire l’egemonia nelle rispettive aree, del PdL e del PD. Sempre più non sopportano il pluralismo come metodo per selezionare progressivamente le proposte per la convivenza.

Oggi c’è stata fortunatamente la robusta sconfitta delle speranze bipartitiche nel voto in Europa e in Italia. Ma resta indispensabile assestare un ulteriore colpo a chi insidia il pluralismo, battendo il referendum elettorale. E batterlo con il sistema del nostro slogan, IL VOTO CON IL NON VOTO, che significa applicare l’art.75,comma 4 della Costituzione, il quale distingue non a caso tra i referendum abrogativi e altri tipi di consultazioni elettorali. Nei referendum abrogativi non si parte da zero ma si sottopone a giudizio popolare la proposta di abrogare anche solo in parte una norma già approvata dal Parlamento. In tal caso, tale norma può essere modificata, ma solo se partecipa al voto la maggioranza degli elettori, non una minoranza. Dunque chi non vota il 21-22 giugno, non si astiene affatto, ma esprime in modo rafforzato la propria contrarietà a peggiorare la legge porcellum.